C’è un po’ di Trofarello nel Torino di Mazzarri che, a Bormio, ha iniziato la nuova stagione. Tra i ragazzi che si stanno allenando agli ordini del mister livornese c’è anche un millennial lungagnone: Lorenzo Lucca.
Il giovane talento granata ha il nonno materno, Gianni Cavallo, residente da sempre a Trofarello, da quando abbandonò l’amata Puglia. E’ stato anch’egli calciatore, seppure in categorie più modeste ed adesso -pensionato- è attivo in alcune associazioni come volontario.

Da ToroNews
Attaccante di 18 anni, volto nuovo soltanto a metà per gli appassionati, visto che l’ex Brescia è tenuto sotto controllo dal Torino da diverso tempo nonostante le ultime tre stagioni passate lontane dalla Mole.
IDENTIKIT – Nato a Moncalieri, il 10 settembre 2000, Lucca inizia a giocare sin da giovanissimo nel settore giovanile del Torino dove trascorre poco più di otto anni. Poi tanti prestiti, in attesa di una maturazione definitiva: prima all’Atletico Torino dove fa subito intravedere doti importanti. Poi, dopo le ottime prestazioni, due estati fa arriva la chiamata del Vicenza; dove diventa punto di riferimento della categoria Berretti e trova persino l’esordio tra i professionisti a 17 anni contro la Sambenedettese. Poi, come detto, l’esperienza nella Primavera del Brescia (campionato Primavera 2A) con la quale Lucca ha segnato 16 gol in 18 partite, conquistando persino la convocazione di Corini in prima squadra. Il classe 2000 è un attaccante d’area di rigore, dotato di un fisico possente e che – per caratteristiche – nel corso dell’ultima stagione in quel di Brescia è stato spesso paragonato ad Andrea Caracciolo.
FUTURO – Il Brescia lo avrebbe trattenuto molto volentieri in Lombardia ma il Torino, visti gli ottimi risultati ottenuti negli ultimi anni, ha voluto riportare il ragazzo alla base per valutarlo più da vicino e decidere insieme a lui il suo futuro. Come detto, per il momento, Lucca si sta allenando agli ordini di Walter Mazzarri: una bella occasione per apprendere nuovi dettami tattici e crescere ancora dal punto di vista tecnico. Il futuro però è ancora tutto da valutare.
Le soluzioni potrebbero essere due: un nuovo prestito o la permanenza in Primavera, adesso allenata da Marco Sesia, dove avrebbe modo di dare il suo contributo come fuoriquota. Sullo sfondo la grande opportunità che potrebbe concedergli il Torino: far parte del gruppo della prima squadra nella prima fase di ritiro, poi si vedrà.

Dibba non “buca” più.
Ieri sera dalla Gruber, ci ha provato con il collaudato tono teatrale, con la voce impostata rassicurante, con un’alzata di scudi (falsa)…
La questione di fondo è che anche lui non sembra più credere a quello che dice e -quando è incalzato- il tono non è più quello sicuro di quando era un Gianburrasca all’opposizione.
Giggino, sotto questo punto di vista, è di un’altra pasta.
(a margine: per Dibba non esistono parlamentarie, decide lui se si candida o meno?)

Ultimo appunto. Dibba ha detto: “Il primo anno al governo sapevo che sarebbe stato difficile.”
Quindi lui è partito.

Ho sentito e letto almeno un centinaio di commenti riferiti alla decisione di Totti di abbandonare la Roma.
Vi sono più aspetti sui quali dissertare.
Il primo, molto pratico, si è dimesso. In una nazione dove il collante per le sedie è un grande business, l’ex Pupone ha rinunciato ai soldi. Pecunia vera, tanta. Si dirà che non ne ha bisogno. Certo. Ricordo però che il vile denaro, si racconta, resta attaccato anche alle mani dei santi.
Secondo aspetto. Poteva fare finta di nulla. Continuare a fare da paravento ad una società che, negli ultimi anni, non ha avuto trovato la fortuna nelle scelte che ha fatto. Non è stato e non è voluto diventare ipocrita nei confronti di chi, negli anni, lo ha fatto diventare l’ottavo Re di Roma. Francesco non ha voluto perculare i tifosi. Perché il calcio è di chi lo segue, di chi tifa, di chi spende per comprare i biglietti per lo stadio e le maglie dei propri idoli.
Terzo aspetto: l’orgoglio di un campione. Essere fenomeno sul rettangolo di gioco non vuole dire esserlo -automaticamente- dietro ad una scrivania. Ha fondamento questa affermazione. Ma essere stato uno dei migliori giocatori italiani è sicuramente un ottimo viatico, non fosse altro per tutte le relazioni che Totti può avere ed uno sconosciuto no. Ovviamente per dimostrare un’attitudine bisogna essere messi nelle condizioni di provare.
Chiosa. In un mondo, quello dell’informazione sportiva, ammantato di frasi fatte, di paura di sostenere delle tesi, fors’anche di codardia, Francesco Totti ha dato una grandissima lezione. Bisogna smettere di tacere. Di compiacere al limite della connivenza.
Un grandissimo gol la sua intervista. Come quelli che faceva sul campo.
Alla faccia dei soloni del calcio e di una parte della stampa che gli ha rinfacciato tanta sincerità.
Tante volte ha fatto perdere i congiuntivi, questa volta ha vinto lo scudetto dell’onestà intellettuale.
Una bandiera che non sventola dove tira il vento.

#InPuntaDiPenna
Questa finale di Champions è la certificazione di una svolta (che per altro avviene ciclicamente).
Il calcio muscolare ha di nuovo il sopravvento sulla tecnica e sulla qualità.
A mio, modestissimo, parere è dovuto ad una conclamata mancanza di talento e talenti, generalizzata in Europa.. Ma lo si potrebbe argomentare anche con un evoluzione della tattica, che non premia chi gioca di fino.
Come è successo nei decenni precedenti è il momento delle squadre panzer. Con una differenza. Nel loro essere fisici Liverpool e Tottenham sono pure qualitative tecnicamente, anche se in proporzione minore. Quindi siamo di fronte, anche, ad una evoluzione della specie.

Sul fronte italiano il gap da recuperare è enorme. Non abbiamo squadre che possono competere per la forza fisica. Non abbiamo squadre che possono competere per la cifra tecnica.
La stessa Juventus ha un deficit in entrambi gli aspetti.
L’Europa non ci ama. E soprattutto non ci premia.

Da troppe parti, da troppi concittadini, arrivano sollecitazioni, richieste, disponibilità a progettare un soggetto che -oltre a candidarsi alle prossime elezioni comunali- ponga delle basi per dare una nuova idea di paese a Trofarello.

Il paese dove viviamo non può e non deve essere quello ostaggio, negli ultimi 20 anni, di una generazione politica che ha perso di stimoli e che ha una prospettiva che non è, non può e non vogliamo sia la nostra. Ma non è il caso di pensare a chi c’è, più opportuno a chi vorremmo che ci fosse o che ci sarà.

Non ha più senso di esistere la politica come l’abbiamo vissuta sino ad oggi. Sorpassati i vecchi schemi. Bisogna colmare un vuoto. Ideologico, di appartenenza, di scelte di campo.

Dobbiamo scegliere. E questo è un appello alle migliori risorse presenti sul territorio trofarellese. Usciamo dai contenitori, mettiamo da parte le appartenenze e le ideologie e concentriamoci sul paese che ci unisce e ci lega.

E’ un’impalcatura diversa. Una cultura fondatrice democratica che parta dal basso. Con una discussione che verta su quello che può unire e non su quello che divide. Bisogna pensare a nuovi modelli. Immaginare una nuova rotta. Mettendo al centro del discorso politico quelli che saranno i temi dei prossimi anni.

Un progetto legato alla sostenibilità, declinata in tutti i campi, può essere la stella polare, l’idea attorno alla quale unirsi, per creare un laboratorio che -dal basso- possa arricchire la politica oltre il tifo e la passione, nell’interesse di una comunità.

«Ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati» (LS, n. 93). Essa collega anche la finalità dello sviluppo con le realtà sociali mondiali. Come aveva fatto nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, Francesco sottolinea che «la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, esige che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti» (LS, n. 127) o ancora che «il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro [ai poveri] una vita degna mediante il lavoro» (LS, n. 128)

Pensiamoci. Possiamo essere una grande comunità. Abbiamo del tempo di fronte che non deve essere sprecato. Per analizzare le ragioni. Creare le fondamenta di qualcosa di solido ed importante.

Non siamo ambiziosi, non siamo sognatori. Non c’è la volontà di intercettare umori. Pensiamo al futuro e non al passato. Ragioniamo con un tempo (futuro) che dobbiamo costruire.