La Passiata è una gara competitiva.

La Passiata è anche un’iniziativa non competitiva.

La Passiata è innanzitutto un fenomeno.

In una nazione di “divanisti” e di sportivi da televisione, la Passiata è un innesco magico, è un’idea, una suggestione, uno “scollante” che è riuscita, nel corso di un cinquantennio, a trasformare un’intera comunità in una festante e gioiosa marea di cittadini che si riversano sulle strade per cogliere un momento di aggregazione, anche salutistico.

Meriterebbe un attento studio di antropologi e o sociologhi.

Non si capisce come, all’alba del terzo millennio, dove si corre soprattutto sulle vie di silicio, questa manifestazione riesca a sconvolgere, almeno per un giorno, abitudini che si cristallizzano nell’arco degli altri 364 in umani che, pur di non fare 3 passi (e non di corsa), magari parcheggiano in quarta fila davanti al tabaccaio o al panettiere.

Come ha potuto la Passiata resistere a tutto ciò in 50 anni di storia ed, anzi, aumentare quasi costantemente, di anno in anno, il numero di partecipanti e di attivisti? (Perché, non lo si dimentichi, dietro ad un grande evento ci sono sempre grandi organizzatori…)

La risposta a questo quesito, per molti aspetti molto semplice o molto difficile, sta nella magia della Passiata.

Non mi è dato sapere se a livello nazionale o ancor di più mondiale, esistano iniziative similari, forse si.

In questa di San Marco io ho visto e leggo la voglia di esserci, il desiderio di partecipare, la volontà di essere parte attiva di un evento che appartiene ad un’intera popolazione, una specie di sogno collettivo che trova la sua santificazione una volta all’anno.

Il gusto di poter dire “io c’ero”, il piacere di affermare la propria presenza in un delirio che è collettivo.

Uno degli organizzatori, un caro amico, mi ha scritto che ieri San Marco “pulsava”, per me era il grande cuore di un’idea, che sopravvive a se stessa per la forza della stessa.

Grande Passiata e viva la Passiata, appuntamento all’anno prossimo ed al prossimo anniversario.

Ph Andrea Cocca

“A me piace il Torino come simbolo, mi piace Ferrini che si stringe le maniche nei pugni perché ha freddo, mi piace l’essere diversi dagli altri, l’essere onesti, puliti e spiritosi, al di là dei risultati. E’ difficile spiegare cosa vuol dire essere granata e sinceramente non lo voglio nemmeno fare perché è una cosa di cui sono molto geloso, che voglio custodire insieme a pochi eletti; dico solo che tifare Toro significa essere contro, significa averle viste tutte, significa amare il vino rosso.“

Giampaolo Ormezzano

In dieci praticamente dall’inizio, spendendo non poco, con un avversario che faceva girare velocemente la palla da un lato all’altro del campo, inserire prima un giocatore come Yildiz, abile a saltare l’uomo, creare superiorità, buttarsi negli spazi e, soprattutto, in grado di procurarsi dei calci di punizione, non era una scelta decisiva?

Quando sei in inferiorità numerica le palle inattive diventano fondamentali.

Mah…

Speravo de non morì prima 🎾
(Mi sono emozionato)

È mancato Totonno Juliano, tra le altre cose da menzione, portò Diego Armando Maradona a Napoli

Era sfinito. Un mese di trattative ed ogni volta due passi avanti ed uno indietro. Oramai anche Ferlaino si era fatto convincere da lui sulla possibilità di prendere Maradona e si era attivato con i giusti canali della politica e della finanza cittadina.

Ma la trattativa con i dirigenti del Barcellona era ancora da portare avanti. E spettava a lui farlo. E riuscirci, perché egli non considerava un diverso finale. Neanche quando l’ingegnere gli aveva porto un fogliettino con su scritti cinque nomi. “Prendiamo questi invece di Maradona” . No, niente affatto. Lui Maradona voleva prenderlo e per farlo occorreva braccare quelli del Barcellona. E lo stava facendo. Da un mese soggiornava a Barcellona, oramai.

La sera del 29 giugno, mancava solo un giorno ed oramai pochi ci credevano ancora.

Stava leggendo un giornale nella hall dell’hotel Princesa Sofia di Barcellona quando gli si avvicina un uomo. Un giornalista, un dirigente del club catalano, chissà.

《Guarda che tutti i dirigenti del Barcellona si sono stufati di Maradona e vogliono cederlo. Hanno trovato il sostituto ed é Hugo Sanchez dell’Atletico Madrid. Si oppone solo il vicepresidente Gaspart. È da lui che devi andare》.

Il mattino dopo Antonio Juliano si fece portare a Villa St. Andreu Llavineos a 130 Km da Barcellona.

Cominciava il 30 giugno.

L’ultimo giorno.

Il più lungo dell sua vita.

Parló per circa un’ ora con Gaspart nella sua residenza.

Gli confermó l’ultima offerta del Napoli: 13 miliardi. Più di quello non si sarebbe potuto fare. Gli venne una intuizione.

“Altrimenti con metà della cifra andiamo a prenderci Hugo Sanchez”.

Era un bluff. Ma perfetto per far trasalire Gaspart che in risposta gli diede appuntamento alle ore 16.00 nella sede del Barcellona.

Quando Juliano entró quelli del Barcellona gli dicono:《Dateci un milione e 230mila dollari in più e Maradona è vostro》.

Juliano sbatte i pugni sul tavolo. “Ci state prendendo in giro? L’offerta è quella, non una lira di più». Sa che non ci sarebbe neanche il tempo necessario per trovare quei soldi in più. Resiste. Tiene la schiena dritta.

I dirigenti catalani rimandano la decisione finale alle 18.00.

Il tic tac dell’orologio oscillava tra un “Si” ed un “No” e come una pallina sulla roulette attendeva solo di fermarsi.

Avete idea di quanto possa cambiare la vita di un uomo o di una moltitudine, e quanto possa mutare la sua singola Storia e quella di una intera popolazione, al decidersi di un Si oppure un No?

Avete idea di quanto possa condizionare il corso della Storia la determinazione di un Uomo?

Immaginate Antonio Juliano in quella sala d’attesa

Antonio Juliano in quel momento era tutto il popolo napoletano in una sala d’attesa tra il Si ed il No, credendo però disperatamente, fermamente, indissolubilmente nel Si.

Ore 18.00, circa. Lo chiamano. Posa la sigaretta in un posacenere oramai colmo di cicche.

《Va bene. Accettiamo》.

Juliano resta impassibile. Chiede un telefono. 《Ingegnere venga a Barcellona. È fatta!》

Ferlaino atterra a Barcellona in aereotaxi quattro ore dopo.

Nella sede del Barcellona sono tutti pronti.

Juliano porge il contratto a Ferlaino.

《È fatta. Manca solo la sua firma, ingegnere》.

Juliano aveva trasformato tutti i “No” ingoiati dai napoletani nella loro millenaria difficile storia, in un unico, dolcissimo, meraviglioso, indimenticabile, eterno “Si” .

(da: Stefano Borgna – Generazione terremoto)