Non è certamente l’appartenenza ad una fazione. Vaccinarsi, per me, è stata una scelta ponderata ed assunta con grande attenzione e, non nascondo, anche molto timore.

Mi offendono certi commenti che mi paragonano ad una pecora. Peggio quelli che mi accusano di essere contiguo a BigPharma ed ai poteri forti.

Ho vissuto un meccanismo mentale che mi ha fatto pensare al Covid come a qualsiasi altra malattia per la quale assumo medicine, delle quali mi sono cimentato nella lettura (solo, esclusivamente e talvolta) del “bugiardino”. Ma soprattutto, sulla scorta di quale preparazione scientifica avrei potuto valutare la bontà o meno di una campagna vaccinale? Mi sono fidato. Come è successo centinaia di altre volte quando sono andato a chiedere lumi al mio (bravissimo) medico di base. Come mi fido quotidianamente quando passo sopra un ponte che hanno progettato degli ingegneri (e spero sia manutenuto in maniera puntuale e precisa), quando accendo i fornelli il cui gas arriva da delle condutture che un tecnico abilitato ha firmato e delle aziende hanno prodotto e delle altre hanno messo in opera.

Delego sulla fiducia, mio malgrado. La stessa cosa è accaduta con il vaccino. Non ho mai dimenticato la frase di un illuminista francese che pressappoco recitava così: “Si rischia tanto a credere troppo quanto a credere troppo poco” per il qual motivo ho cercato di capire, con i pochi mezzi conoscitivi che avevo a disposizione e poi mi sono fidato.

Non voglio scendere sul piano del tifo, però mi sfuggono le ragioni di coloro che non si vaccinano. Di coloro che usufruiranno di un’immunità di gregge senza aver puntato neppure una fiche. E mi urta che le terapie intensive siano “occupate” da persone che hanno preferito non vaccinarsi.

Così è. Sarebbe stato più corretto rendere obbligatorio il vaccino per legge? Chissà.

“Nulla sarà più come prima” scrissi dopo poche settimane dall’inizio della pandemia. Non era una profezia, soltanto un ragionamento che avevo fatto sommando degli addendi.

Oggi penso che non sia ancora finita, che i modelli di vita dei prossimi decenni siano ancora in fase di scrittura. Se ci penso un poco mi intristisco, più che per me per coloro che non possono godere delle certezze di cui ha goduto la mia generazione, che in questa parte del mondo ha vissuto in una comfort zone che spero (ma dubito) possa ritornare.

“La Terra non è un’eredità ricevuta dai nostri Padri,
ma un prestito da restituire ai nostri figli”

Antico proverbio amerindio

Ieri ho avuto una dimostrazione plastica del fatto che nella vita bisogna saper attendere.
I fatti.
Incontro un “ex” amico che non vedevo da un quinquennio circa.
“Ex” per motivi politici; un giorno si infurió per un post, da me scritto, che parlava di un certo movimento. Lo avevo intitolato qualcosa come: “Dopo la grande illusione, arriverà il brusco risveglio.”
Erano i tempi in cui a Roma e Torino “due giovani donne conquistavano i comuni, l’elettorato era maturo, l’ideatore del Vaffaday se la batteva con Gesù Cristo per la posizione di preferito da Dio, i “giornaloni” erano stati sconfitti e Travaglio era in attesa di beatificazione.”
Poco dopo, era il 2018, c’era pure il tesoretto del 33%.
🔜Arriviamo ad oggi.
L'”ex” mi ha detto: “abbiamo sbagliato tutto. Su Grillo meglio non esprimersi. Abbiamo perso Roma e Torino. In parlamento siamo stati, diciamo, ondivaghi. Siamo venuti meno a quasi tutti i nostri principi. Siamo diventati casta, esattamente come quelli che definivamo “morti che che camminano”, con i quali abbiamo fatto pure alleanza al governo.
In 5 anni tutto distrutto, tutto finito. Resistono in pochi, invasati, che pensano di essere ancora in guerra nella giungla.”
…..
Gli ho dato una pacca sulla spalla e gli ho detto che lo aspettavo, sapevo che prima o poi si sarebbe risvegliato dalla grande illusione che stava vivendo.
Non serve prendersela con i partiti che hanno consenso perché hanno una storia, hanno delle idee, hanno dei militanti. Il popolo non è bue secondo le proprie convenienze o la propria necessità di cercare delle giustificazioni.
Bisogna saper accettare le idee di chi la pensa (e lo testimonia con il voto nelle urne) in maniera diversa da noi.
Se a Torino ha vinto Lo Russo, l’Appendino non è stata neppure ricandidata e la Sganga non ha visto neppure con il binocolo il ballottaggio, vuol dire che la città non ha più creduto in quel movimento che in 5, lunghissimi, anni non ha saputo convincere (con i fatti!) della bontà di quella amministrazione.
Asfaltati, da quella stessa gente che ci aveva creduto.
E così a Roma. Ed alle prossime politiche ipotizzo lo stesso finale.
L'”ex” ha concluso dicendomi dell’incapacità dei suoi “ex” colleghi di movimento di fare una benché minima analisi, elaborare una autocritica, capire perché si è disperso un esagerato consenso elettorale. La triste chiosa: “continuiamo a dare le colpe ai giornaloni, ai poteri forti, abbiamo ancora nel cervello il “benaltrismo”, il Vaffa, pensiamo di essere immacolati quando si parla di questione morale…”
Gli ho suggerito di iscriversi al Partito di Bibbiano 🤭🤣🤣🤣

Spettacoli, manifestazioni, fiere, eventi, mostre, congressi.

Un settore, quello degli operatori, fatto di invisibili.

Manca la percezione dell’importanza e del valore di questo ambìto e delle ricadute, pure, che produce sui territori.

Parliamo di professionalità e di eccellenze apprezzate a livello mondiale, capaci di pensare, organizzare e gestire.

Tutti fermi e lasciati al palo.

🖋️
Premetto, non sono un sociologo, quindi mi limito ad una considerazione non avvalorata da studi specifici. La percezione, lo dico presuntuosamente, più corretta di quello che sta facendo il Benevento Calcio la ha chi nel Sannio non risiede. Come diceva un altro “tifoso non residente”, in alcune pagine facebook che trattano la materia calcistica, fino a qualche anno fa l’esatto posizionamento geografico della città sannita era legato ad una approssimativa vicinanza a Napoli, altri (forse i più) dell’antica Maleventum non conoscevano neppure l’esistenza.
Troppo lontana la vittoria su Pirro, le forche caudine e quanto di altro appartiene alla città sannita, desolatamente agli ultimi posti anche nelle classifiche della qualità della vita (anche se, ad onor del vero, ci sono segnali di risveglio e la posizione nel 2020 è la 79esima).
Poi, ad un certo punto della vita della città, irrompe il calcio di alto bordo e la conseguente esplosione mediatica che produce lo sport di massa più seguito in Italia.
Le telecamere si accendono sulla squadra e riverberano la loro luce sull’Arco di Traiano, sul Teatro Romano, sulla Chiesa di Santa Sofia, su tutto il patrimonio storico-culturale che è del capoluogo e pure sulle peculiarità, in primis quelle eno-gastronomiche, che prepotentemente -dalla provincia- avevano cominciato ad affacciarsi alla ribalta nazionale ed internazionale pagando, però, la tara della diffidenza verso qualcosa che non si conosce, che non si contestualizza e che hanno tratto giovamento, anche loro, dalle gesta calcistiche di Schiattarella e compagni, che hanno amplificato sui media il brand Benevento.
Per alcuni versi mi sembra di rivivere il déjà vu di una sonnecchiosa e sull’orlo dell’implosione industriale Torino che, con le Olimpiadi, riuscì a riposizionarsi nella dimensione di attrattiva turistico e culturale internazionale, godendone dei benefici sino ad oggi.
Fatte le debite proporzioni, l’esperienza calcistica è traino e volano (sempre a mio modestissimo parere) e fors’anche motivo di riscossa per un intero popolo dimenticato dalle infrastrutture, dalle piste di silicio, dai riflettori dei mainstream dell’informazione. Qualcosa si muove. Ieri sera Pippo Inzaghi era ospite alla Domenica Sportiva per parlare dei giallorossi, oltre alla squadra riecheggia Benevento che, se può essere modello sportivo, per assonanza potrebbe essere anche qualcosa di altro: sito per insediamenti produttivi, base per centri studi e di ricerca e tutto quanto non oso neppure sperare.
Benevento è area interna, dimenticata dai circuiti turistici, dagli investimenti e dalla programmazione statale, con un progressivo depauperamento demografico. Il modello “Benevento Calcio” ha aperto uno spiraglio, è dimostrazione tangibile che, con oculata programmazione ed investimenti mirati, potrebbe nascere, magari, un modello “B-Industria”, un altro “B-tecnologia e ricerca” e, forse, altri ancora.
Auspico l’emulazione, non un nuovo Rinascimento ma una presa di coscienza di un quadro di possibilità.
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La gente sannita è ricca di orgoglio e voglia di riscatto, mi piace pensare e sperare che, in un futuro più o meno prossimo, dal Nord saremo costretti ad emigrare al Sud.
Buon Benevento a tutti
🤗