Dallas e Steve

Con l’uscita di scena di Allasia Federico “Dallas” e di Stefanino Drazza si chiude forse, parzialmente, un ciclo.
In questi anni il calcio a Trofarello non è mai stato facile. Loro, con gli altri “senatori”, sono stati il cemento vero del gruppo.
Dallas è stato equilibrio e determinazione.
Steve estrosità e “sterzate”.
Entrambi hanno sposato la causa trofarellese quando sembrava che tutto potesse o dovesse finire.
Restano nella memoria di molti le cene domenicali, post match, presso l’abitazione di Dallas, ancora sento nella testa i cori di un Drazza ebbro di gioia e dei fumi dell’alcol.
Non hanno solo indossato una maglia. L’hanno tessuta, l’hanno cucita e poi l’hanno messa sulle spalle, quelle spalle che -in molte partite- si sono caricate il peso di una intera formazione.
Lasciano un grosso vuoto. Come giocatori ma soprattutto come persone.
Chi ha vissuto questi anni può capire. Emozionanti dalle vittorie alle sconfitte. Però momenti sempre unici, particolari, cristallizzati nelle nostre sinapsi.
Non c’è nulla di epico. E’ qualcosa che ha unito un gruppo di persone, una piccola comunità, proiettando un sentire comune.
Tutto finisce.
(ed in questo momento, anche chi scrive ha un poco di malcelata melanconia ed una lacrimuccia che riga il volto, forse per un moscerino)
#passioneBiancorossa

In punta di penna (di calcio soprattutto)

Dopo aver letto la molteplicità dei commenti al post pubblicato su facebook, nel quale si commentava la partenza di due giocatori del Trofarello, Allasia e Drazza, e dopo aver ricevuto questo messaggio whatsapp ho pensato che sia giusto scrivere qualcosa del calcio che ho vissuto negli ultimi anni.

“Chi sa cosa vuol dire dedicare del tempo al calcio sa cosa è veramente il calcio… Dopo aver letto il tuo post sto sentendo adesso l’odore del fango dell’erba, la puzza di spogliatoio, il rumore dei tacchetti…”
Si è vero. Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo al calcio dilettantistico.
In principio addosso la “responsabilità” a Fioriello. Silvio è stato uno di quei giocatori che di più mi hanno solleticato la fantasia ed alimentato la libido verso un gioco che non si può definire intelligente. Un mio amico, scomparso di recente, grande appassionato, soleva dire che “se il calcio fosse un gioco intelligente non si giocherebbe con i piedi”. Però quello che, da quando ho ricordi, ho visto fare ad alcuni giocatori, con i piedi, non attiene all’ordinario, è magia, è spettacolo, è la capacità di creare suggestioni, è la capacità di alimentare emozioni. E’ il calcio.
Ritornando a Silvio, lui era un poco di tutto questo. Il suo ritorno sulla panchina biancorossa, mi fece riavvicinare ad un modo non frequentato per almeno un settennio, a causa di saturazione dalla vista di rettangoli di gioco, scarpette bullonate e quanto di altro.
Da lì in poi è stato un crescendo. Una passione che ricomincia ad attanagliarti. Una voglia che arrivi la domenica. Una miscela di sensazioni, tra vittorie e sconfitte, che ti proiettava sempre verso la prossima.
E poi arriva Mogliotti. Sempre a Trofarello. E l’impegno cresce. Una squadra retrocessa. Ma poi ripescata. Un gruppo che si costruisce per una categoria (la seconda) modificato in corsa per affrontare un’altra categoria (la prima).
Mille problemi, altrettante soddisfazioni. Ed ancora problemi e dolori: la scomparsa di Della Rocca. Ma una squadra, nel vero senso della parola, a tutto tondo, una piccola comunità che voleva vincere e divertirsi. E vincere. Le sconfitte pesanti con il Moncalieri. Le vittorie devastanti con la Nuova Sco e soprattutto con il Bacigalupo. A fine gara un loro dirigente, dopo un pirotecnico 0 a 8, ci disse: “voi non siete di un livello superiore, siete di due livelli oltre”. Una cavalcata che stava per finire in modo drammatico, senza la vittoria in campionato ed il raggiungimento dei play off, ripresa per i capelli.
E poi quei fantastici playoff. Cambiano, Moncalieri, Castelnuovo (“Nbele si as vinc nen” disse il loro guardalinee) e l’ubriacatura di gioia contro il Victoria Ivest, sul loro campo, con una gara che Mou-gliotti preparò di notte, studiando su youtube i filmati della squadra avversaria, che tradusse in allenamento su un sintetico a Riva di Chieri e che si videro pari pari durante una finale senza storia, dove tutti pensavano che il Trofarello partisse sconfitto. Embè.
E poi quell’estate. Un fuggi-fuggi generale di giocatori. Un gruppo “storico” che decise che il calcio a Trofarello doveva continuare. Capitan Arlorio per tutti: “Non possiamo pensare che l’occasione di giocare con la maglia del proprio paese i bambini di oggi non possano averla”. E con lui Federico Allasia, Andrea Romano, Rudy Tosatto, Stefanino Drazza, Tony Aiello.
E pronti via, ripartenza in Promozione. Un avvio da far strabuzzare gli occhi. Una pesante flessione, sino alla vittoria sul campo del Grugliasco. Dove si concretizzò la sintesi del calcio del Mou. Pressing, giro palla, attacco degli spazi, gioco corto, più linee di passaggio, massimo due tocchi, azione costruita sempre dalle retrovie. Ed ancora alchimie tattiche per anestetizzare gli avversari. Massima valorizzazione delle risorse umane a disposizione.
Il ritorno di quella stagione non è stato la stessa cosa. Più problemi. Più difficoltà. Qualche errore anche della panchina, perché no.
Ma alla fine quando il gioco si fece duro, leggasi spareggio per non retrocedere, i duri ricominciarono a giocare. E fu salvezza.
La riconferma della categoria da parte di un “gruppo storico” che aveva un’anima forte. Che forse non si è reso conto, non ha realizzato, quanto ha costruito, quanto ha realizzato.
In questi due anni questa è stata una squadra mai banale. Oltre le righe in alcune situazioni. Capace di divertire come poche hanno saputo fare in queste categorie.
Il cambio di casacca di Allasia e Drazza è una cartina di tornasole del tempo che passa. Di un qualcosa che finisce (e chiaramente ricomincia). Ma io che sono, in fondo in fondo, romantico mi affeziono. Magari mi affezionerò di nuovo. Però quanto mi sono divertito in queste due stagioni non lo dimenticherò.
Un film che avrei voluto girare. Una pellicola che conserverò solo nella mente.

In punta di penna (di calcio soprattutto)

Dopo aver letto la molteplicità dei commenti al post pubblicato su facebook, nel quale si commentava la partenza di due giocatori del Trofarello, Allasia e Drazza, e dopo aver ricevuto questo messaggio whatsapp ho pensato che sia giusto scrivere qualcosa del calcio che ho vissuto negli ultimi anni.
“Chi sa cosa vuol dire dedicare del tempo al calcio sa cosa è veramente il calcio… Dopo aver letto il tuo post sto sentendo adesso l’odore del fango dell’erba, la puzza di spogliatoio, il rumore dei tacchetti…”
Si è vero. Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo al calcio dilettantistico.
In principio addosso la “responsabilità” a Fioriello. Silvio è stato uno di quei giocatori che di più mi hanno solleticato la fantasia ed alimentato la libido verso un gioco che non si può definire intelligente. Un mio amico, scomparso di recente, grande appassionato, soleva dire che “se il calcio fosse un gioco intelligente non si giocherebbe con i piedi”. Però quello che, da quando ho ricordi, ho visto fare ad alcuni giocatori, con i piedi, non attiene all’ordinario, è magia, è spettacolo, è la capacità di creare suggestioni, è la capacità di alimentare emozioni. E’ il calcio.
Ritornando a Silvio, lui era un poco di tutto questo. Il suo ritorno sulla panchina biancorossa, mi fece riavvicinare ad un modo non frequentato per almeno un settennio, a causa di saturazione dalla vista di rettangoli di gioco, scarpette bullonate e quanto di altro.
Da lì in poi è stato un crescendo. Una passione che ricomincia ad attanagliarti. Una voglia che arrivi la domenica. Una miscela di sensazioni, tra vittorie e sconfitte, che ti proiettava sempre verso la prossima.
E poi arriva Mogliotti. Sempre a Trofarello. E l’impegno cresce. Una squadra retrocessa. Ma poi ripescata. Un gruppo che si costruisce per una categoria (la seconda) modificato in corsa per affrontare un’altra categoria (la prima).
Mille problemi, altrettante soddisfazioni. Ed ancora problemi e dolori: la scomparsa di Della Rocca. Ma una squadra, nel vero senso della parola, a tutto tondo, una piccola comunità che voleva vincere e divertirsi. E vincere. Le sconfitte pesanti con il Moncalieri. Le vittorie devastanti con la Nuova Sco e soprattutto con il Bacigalupo. A fine gara un loro dirigente, dopo un pirotecnico 0 a 8, ci disse: “voi non siete di un livello superiore, siete di due livelli oltre”. Una cavalcata che stava per finire in modo drammatico, senza la vittoria in campionato ed il raggiungimento dei play off, ripresa per i capelli.
E poi quei fantastici playoff. Cambiano, Moncalieri, Castelnuovo (“Nbele si as vinc nen” disse il loro guardalinee) e l’ubriacatura di gioia contro il Victoria Ivest, sul loro campo, con una gara che Mou-gliotti preparò di notte, studiando su youtube i filmati della squadra avversaria, che tradusse in allenamento su un sintetico a Riva di Chieri e che si videro pari pari durante una finale senza storia, dove tutti pensavano che il Trofarello partisse sconfitto. Embè.
E poi quell’estate. Un fuggi-fuggi generale di giocatori. Un gruppo “storico” che decise che il calcio a Trofarello doveva continuare. Capitan Arlorio per tutti: “Non possiamo pensare che l’occasione di giocare con la maglia del proprio paese i bambini di oggi non possano averla”. E con lui Federico Allasia, Andrea Romano, Rudy Tosatto, Stefanino Drazza, Tony Aiello.
E pronti via, ripartenza in Promozione. Un avvio da far strabuzzare gli occhi. Una pesante flessione, sino alla vittoria sul campo del Grugliasco. Dove si concretizzò la sintesi del calcio del Mou. Pressing, giro palla, attacco degli spazi, gioco corto, più linee di passaggio, massimo due tocchi, azione costruita sempre dalle retrovie. Ed ancora alchimie tattiche per anestetizzare gli avversari. Massima valorizzazione delle risorse umane a disposizione.
Il ritorno di quella stagione non è stato la stessa cosa. Più problemi. Più difficoltà. Qualche errore anche della panchina, perché no.
Ma alla fine quando il gioco si fece duro, leggasi spareggio per non retrocedere, i duri ricominciarono a giocare. E fu salvezza.
La riconferma della categoria da parte di un “gruppo storico” che aveva un’anima forte. Che forse non si è reso conto, non ha realizzato, quanto ha costruito, quanto ha realizzato.
In questi due anni questa è stata una squadra mai banale. Oltre le righe in alcune situazioni. Capace di divertire come poche hanno saputo fare in queste categorie.
Il cambio di casacca di Allasia e Drazza è una cartina di tornasole del tempo che passa. Di un qualcosa che finisce (e chiaramente ricomincia). Ma io che sono, in fondo in fondo, romantico mi affeziono. Magari mi affezionerò di nuovo. Però quanto mi sono divertito in queste due stagioni non lo dimenticherò.
Un film che avrei voluto girare. Una pellicola che conserverò solo nella mente.

Di calcio e di addii

Con l’uscita di scena di Allasia Federico “Dallas” e di Stefanino Drazza si chiude forse, parzialmente, un ciclo.
In questi anni il calcio a Trofarello non è mai stato facile. Loro, con gli altri “senatori”, sono stati il cemento vero del gruppo.
Dallas è stato equilibrio e determinazione.
Steve estrosità e “sterzate”.
Entrambi hanno sposato la causa trofarellese quando sembrava che tutto potesse o dovesse finire.
Restano nella memoria di molti le cene domenicali, post match, presso l’abitazione di Dallas, ancora sento nella testa i cori di un Drazza ebbro di gioia e dei fumi dell’alcol.
Non hanno solo indossato una maglia. L’hanno tessuta, l’hanno cucita e poi l’hanno messa sulle spalle, quelle spalle che -in molte partite- si sono caricate il peso di una intera formazione.
Lasciano un grosso vuoto. Come giocatori ma soprattutto come persone.
Chi ha vissuto questi anni può capire. Emozionanti dalle vittorie alle sconfitte. Però momenti sempre unici, particolari, cristallizzati nelle nostre sinapsi.
Non c’è nulla di epico. E’ qualcosa che ha unito un gruppo di persone, una piccola comunità, proiettando un sentire comune.
Tutto finisce.
(ed in questo momento, anche chi scrive ha un poco di malcelata melanconia ed una lacrimuccia che riga il volto, forse per un moscerino)
#passioneBiancorossa

Sviluppo sostenibile

“La nostra sfida più grande in questo nuovo secolo è di adottare un’idea che sembra astratta – sviluppo sostenibile.”
Kofi Annan

Oggi sono andato a vedere Mirafiori- Sangiacomo Chieri

Mirafiori- Sangiacomo Chieri 2-2

MIRAFIORI: Cuniberti; Sergio, Gallo; Marra, Gianluca Pautasso, Cerrato; Pietraniello, Rizzi (36’ s.t. Talarico), Luisi (32’ Borgoni), Bennati (21’ s.t. Marino), Soletti (19’ s.t. Miracca). 12 De Rosa 17 Niccolò Pautasso 18 Bonanni. All. Giuseppe “Pino” Perziano.

SANGIACOMO CHIERI: Zago; Stevenin, Rimedio; Mezzela, Calzolai, Parrino (50’ s.t. Balan); Velardita (23’ s.t. Federici), Gobetti, Gualtieri (44’ s.t. Angeloni), Bosco (13’ s.t. Anselmi), Dosio (36’ s.t. Gilli). 12 Nebiolo 18 Nano. All. Marco Bonello.

TERNA: Rizzo di Pinerolo (Cocomero e Dudas di Nichelino)

RETI: 3’ Gualtieri (rig.), 34’ Mezzela, 42’ Pietraniello, 47’ s.t. Talarico.

 

Un tale diceva che “Il più grande spreco è la differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare.”

La gara del Sangiacomo a Mirafiori (2 a 2 il finale) è l’esatta fotografia di questo aforisma. Per larghi tratti di match i chieresi sono quello che potrebbero diventare, una squadra che può appropriarsi di risultati favorevoli mettendo a frutto le migliori individualità; mentre nei periodi in cui vengono colti dalle amnesie, gli uomini di Bonello dilapidano patrimoni che sembrano già acquisiti.

Il coach chierese, che pare aver trovato la giusta sintesi nel 4-3-3, confermava praticamente quasi tutta la formazione del turno precedente. Mezzela, rientrante dalla squalifica, rilevava la maglia lasciata libera da Castiglia, appiedato dal giudice sportivo e Francesco “Ciccio” Bosco guadagnava il terreno di gioco a scapito di Anselmi, di cui però non andava ad occupare la posizione in campo, collocandosi al centro della zona nevralgica, a centrocampo.

Neanche tre giri di lancette e Dosio, con un’azione insistita,guadagnava la posizione tra i due statici difensori centrali di casa che non riuscivano a mettere un freno allo sgattaiolante Luca se non stendendolo. Rigore legittimo che Gualtieri trasformava in scioltezza.

Scossi dalla marcatura i locali reagivano, al 7’, con una punizione di Rizzi che non impensieriva un sempre più attento ed autoritario Zago e rischiavano nuovamente di capitolare quando una chiamata, apparsa ai più, improvvida, strozzava in gola l’urlo del gol allo scatenato Dosio.

Sul ribaltamento di fronte si capiva che la fase difensiva non prevede disattenzioni: Pietraniello, da posizione più che favorevole, costringeva Zago ad una paratona che valeva un gol.

Si arrivava al 25’, Dosio scavallava per tutto il campo portandosi appresso tutta la difesa di casa, giungeva al limite da dove faceva partire un fendente che si perdeva sul fondo. Ancora Dosio si rendeva protagonista di un’accelerazione con conseguente assist per Velardita, la cui conclusione -di mezzo esterno, da 25 metri- si perdeva sul fondo.

I chieresi spingevano sul pedale giusto ed al 34’, sugli sviluppi di una punizione di Bosco, corretta di testa, raddoppiavano con Mezzela, sottomisura, più lesto di tutti a deviare nel sacco.

Ma come storia di questo campionato insegna, ci vuole poco per complicarsi la vita. Un traversone in area del Sangiacomo vedeva Gualtieri trasformarsi in pallavolista. Rigore legittimo che Pietraniello trasformava ma Zago per poco non intercettava.

Tanta la cronaca anche dopo la pausa. In pillole: Zago, si guadagnava la pagnotta con una parata in controtempo su Borgoni, lasciato clamorosamente libero di concludere a rete (3’); Velardita, con grande personalità, “sparava” bombe ancora dalla distanza, senza infastidire più di tanto il giovanissimo e talentuoso Cuniberti. Ancora Dosio protagonista (18’ e 33’) con una spingardata che impegnava duramente l’estremo di casa e quindi con un tiro a giro, che infrangeva la sua corsa sul montante.

Sul solito ribaltamento di fronte Stevenin stendeva un avversario lanciato verso la porta. Secondo giallo e doccia anticipata.

Gli ultimi minuti ci si immaginava potessero essere a senso unico. Allo scadere dei novanta minuti, invece, Angeloni sprecava clamorosamente, a tu per tu, calciando sul portiere; quindi l’imperiosa cavalcata (47’) di Federici, quasi un coast to coast, non trovava i favori della dea bendata.

Ribaltamento nella metà campo chierese dove Talarico, in perfetta solitudine (ed in posizione di sospetto fuorigioco) riceveva un millimetrico lancio, controllava e freddava l’incolpevole Zago.

Negli ultimi due, dei sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, il Mirafiori ci provava ancora ma la squadra di Perziano non aveva più le forze per tentare di far saltare il banco.

Un altro diceva: “Il rimpianto è un enorme spreco d’energia. Non vi si può costruire nulla sopra. Serve soltanto a sguazzarvi dentro”. Cifra tecnica ed esperienza dei singoli impongono un cambio di marcia nella gestione dei match.

Perseverare fa male alla classifica.