❗Non è un mistero che dopo l’emergenza sanitaria, le successive crisi sociali ed economiche sarebbero arrivate.Appaltare a stuoli di consulenti e task force compiti che potrebbero (ma anche dovrebbero) essere ad appannaggio di Parlamento e commissioni mi appare come una rinuncia a delle assunzioni di responsabilità.Chi sa di impresa, di gestione, di programmazione dovrebbe mettersi […]
Quando si parla di Fabrizio Spiteri, si parla di uno dei figli più talentuosi del “Viello”, un campo che era palestra di calcio ed anche di vita.
Un luogo dove si affermavano dei valori. Era il periodo in cui Gianni Miná rimembrava i favolosi anni sessanta, c’erano le notti magiche dei mondiali, a San Salvatore Monferrato i tifosi -a forza di spingerla- abbattevano una rete di recinzione ed a Felizzano eravamo diventati amici dei carabinieri, che quando arrivavano i trofarellesi presidiavano campo e spogliatoi per garantire l’incolumità dei padroni di casa.
Era il periodo in cui il bianco ed il rosso ti si attaccavano addosso.
Quando hai calcato le zolle aride del “Viello”, ti sei allenato con la luce fioca dei riflettori meno luminosi d’Europa, ti sei sdocciato negli spogliatoi che erano più tetri dei peggiori Bar di Caracas ed hai mangiato le pizze dei Senese, non puoi non essere annoverato tra quelli della “Cantera del Trofarello”.
Fabrizio Spiteri con la sua presenza, evita che quei ricordi affoghino nella malinconia. Lui è figlio del “Viello”.
Fabrizio fa tornare alla memoria dei mister che appartengono alla “Hall of fame” biancorossa. Da Gigi Rolla a Francesco Alberighi a Piero Taddio la strada di “Spiti” si è intersecata con pagine di storia biancorossa. Gioca negli anni in cui direttore sportivo è Gabriele Mascia, un altro totem del nostro storytelling.
Ed al termine del periodo da giocatore, con alcune perigrazioni nel circondario, l’inizio della carriera da allenatore è ancora a Trofarello. La chiamata alla panchina viene da due mostri sacri: il “prof” Gigi Colonna e Giorgione Fontanili. La gavetta inizia con i più piccoli e passa praticamente per tutte le squadre del settore giovanile, fino alla Juniores, quando Fabrizio ha la possibilità di collaborare con i mister che si succedono al timone della Prima Squadra: Brunetta, Daidola ed il compianto Gambino, scomparso di recente. Infine il traguardo al quale ambisce ogni allenatore del settore giovanile: l’approdo in prima squadra, guidata per 4 stagioni. Successivamente va a Pecetto e poi di nuovo a forgiare calciatori: come mister della Juniores con San Giacomo Chieri, quindi un biennio al Chisola (con annesso campionato vinto con le annate ‘97/’98) e da questa stagione al Cbs, dove -tanto per cambiare- con la formazione Juniores guida il girone “C “, con due lunghezze di vantaggio sul Fossano.
“Trofarello è casa mia -dice Fabrizio- sempre e comunque. Quando sono vicino o quando sono lontano. Tifo per le squadre dove alleno ma il secondo risultato che vado a cercare, la domenica è sempre quello dei biancorossi. Per un trofarellese che ha giocato ed allenato a Trofarello ed ha vissuto una formidabile stagione in questa società, quasi un’epopea con una serie di personaggi che hanno fatto la storia del calcio locale è difficile non continuare ad amare questi colori.”
Fabrizio è uno dei padri putativi calcistici di Marco Masera, un DNA biancorosso con voglia di fare esperienza. Marco allena da quando aveva 20 anni. Quando è arrivato a fare il secondo di Mogliotti, al Trofarello, la casacca biancorossa non era per lui una novità. Non si trattava di una “camiseta” sconosciuta. Anzi, era quella dei primi passi nel mondo della palla a spicchi. Quella delle prime esperienze da trainer. Quella che ha segnato il corpo con un tatuaggio che non si vede. Un tatuaggio molto più profondo.
Inizia ad allenare, imberbe, a 20 anni. Poi emigra a Poirino (dove ha vinto due campionati) e quindi ai Favari. Poi l’esperienza che ricordavamo con Mogliotti -al Trofarello- nell’esaltante stagione del passaggio di categoria e nelle successive stagione in Promozione. E da quest’anno alla Juniores Regionale della CBS.
Su Marco il giudizio di chi scrive è condizionato, avendone condiviso una parte di percorso, il passaggio di categoria (del Trofarello) dalla Prima alla Promozione e la conseguente salvezza la stagione successiva.
Marco è un predestinato della panchina.
Il mestiere del mister non lo ha imparato. Probabilmente lo aveva innato. Certo sta raffinando tecniche, ha corroborato l’insegnamento della parte atletica, assorbendo da vari mister. Ha studiato tattica, assistendo ai match in maniera critica, con apporto proattivo. Ed ancora adesso prosegue, umile, nel suo percorso di perfezionamento, di arricchimento del suo magazzino.
“E’ fondamentale mettersi in gioco, sempre e non solo nel calcio. Sono curioso. Mi piace capire, comprendere. Cerco -come una spugna- di assorbire quanto più possibile dalle persone che affianco. Da ognuno di loro ho appreso qualcosa. Essendomi mancata l’esperienza da giocatore, sto rincorrendo queste esperienze per rendere solido il mio bagaglio. Per essere pronto quando dovrò spiccare il volo per conto mio, assumendomi la responsabilità di una Prima Squadra.”
Con Fabrizio il feeling c’è da sempre, perché è una specie di storia che si ripete. A distanza di qualche anno.
I geni sono gli stessi e la coppia che non scoppia.
Ed anche quest’anno, nonostante il poco tempo a disposizione e nonostante la stanchezza derivante da giorni frenetici, non mi sono voluto fare mancare il presepe e pure l’albero di Natale.
Tempo che si sacrifica al riposo, ma comunque tempo ben speso.
Tradizione rispettata.
Che le feste abbiano inizio 🤗🤗🤗
(Qualcuno mi aiuta a smontarlo dopo l’Epifania?)
Ci ho lavorato sabato e domenica. Stasera faccio il vernissage. Il problema è stato riporre l’imballo. Molto voluminoso 😱😱😱
Non volendo vivere da cittadino passivo, questa sera ho partecipato ad un dibattito su un tema che può (potrebbe) divenire importante per il futuro della regione nella quale vivo.Avendo capito che non ci sarebbe stata controparte, ho speso due sere a ricercare su internet tesi a favore della parte opposta.Boicottato, forse, dalla complice e famosa azienda di Mountain View o forse per incapacità personale, non sono riuscito a reperire in rete praticamente nulla, se non alcune tesi contenute in un articolo che -pur non suffragando più di molto una mia iniziale convinzione, dettata da una malcelata idea di progresso e futuro- pensavo potessero essere degli scalpelli nel muro delle tesi di chi ha organizzato il confronto.Seguendo con estrema attenzione le relazioni ed i contributi del professor Tartaglia e di Luca Giunti, oggettivamente, si sono aperte delle crepe nelle mie convinzioni.
Le ragioni dei NoTav, scevre dalla volontà propagandistica, svuotate dai contenuti emozionali legate alle problematiche della valle, hanno motivazioni scientifiche corroborate da dati, grafici, modelli, studi previsionali, diagrammi che sarebbe stato necessario far confutare da tecnici di medesima caratura dei sostenitori delle tesi opposte.
Ho assistito, quindi ad un dibattito utilissimo ma monco. A questo punto, per onestà intellettuale, la mia posizione è assolutamente sospesa, cosa della quale sono certo non frega nulla a nessuno, ma l’ho voluto scrivere perché -e ritorno al mio preambolo- per poter avere un’opinione (e diventa una questione di metodo) non essendo tecnico del settore è fondamentale non solo ascoltare le due famose campane, ma pure averle assieme in un faccia a faccia.
Per primo io e credo molti altri tra quelli che stasera hanno assistito al dibattito, ne sarebbero usciti con le idee più chiare. Un’occasione persa -secondo il mio modestissimo parere- per chi non ha voluto rappresentare le sue opinioni in un momento di confronto aperto, dove un unico rappresentante del SI, ha avuto la possibilità di esprimersi con serenità, senza aggressioni (ovviamente verbali) e senza sentirsi disprezzato perché non sostenitore del pensiero prevalente in quella sala.
Grazie agli organizzatori.Mi riservo di assistere ad altre riunioni per comprendere sempre di più e meglio una questione divisiva ma fondamentale per il territorio.
Spesso sostengo che le aziende sono fatte di persone. Per affermare che l’esperienza che si ottiene è funzionale anche alla professionalità ed all’empatia delle persone che vi lavorano.
Alla stessa stregua, al Museo Garda di Ivrea (siamo quindi in ambito pubblico) ho sempre più la percezione che questa piccola bomboniera nel panorama museale regionale, tanto lo debba a chi vi opera.
E siccome è una realtà che ben conosco, senza timore di smentita, posso sostenere che la frizzantezza di questo museo passa per la capacità di coinvolgere chi vi opera, che -secondo me- considera le opere, le installazioni, i muri come qualcosa da coccolare, da difendere, da valorizzare. Sempre di più e meglio.
È la stessa suggestione, questi operatori, trasmettono a chi per loro lavora.
Se quando stai allestendo ti balza all’occhio una improvvida scarpata su di un muro la spennelli e la riporti all’antico decoro perché sei coinvolto.
Il Museo Garda te lo senti addosso. Ecco è come si dice della maglia del Toro, si incolla alla pelle.
Alberto Scarino
Mi chiamo Alberto Scarino e questo è il mio sito personale.
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