L’Umbria è stato l’ennesimo esame che il P.D. non è riuscito a passare. Non si tratta di preparazione. È mancanza di progettualità politica. Incapacità di rappresentare… Ma la domanda potrebbe essere quali istanze vengono rappresentate dell’azione del PD? Qual è la linea politica programmatica?
Domande a cui, forse, non sa rispondere neppure chi la “ditta” la dirige.
Anche chi non fa il politico di professione, all’indomani della sconfitta elettorale delle politiche, avrebbe auspicato un congresso, rifondativo, con al centro la definizione di cosa si volesse essere e di dove si volesse andare.
È stato eletto un nuovo segretario, sono state assegnate delle poltrone, è stata messa in atto una politica di opposizione poco incisiva.
Poi la scelta di unirsi ai 5S. Con un unico comune denominatore, frenare Salvini. Qual è il costo? Spropositato. L’elettorato non lo capisce. Non ha efficacia (come è stato dimostrato in Umbria), viene letto come una manovra per difendere le posizioni (leggasi poltrone).
C’è troppa confusione sotto il cielo della politica. Poca chiarezza, poche idee e confuse. A vantaggio di Salvini che esprime un concetto e mezzo, ribadendolo fino all’esasperazione.
Serve un congresso, rifondativo, magari sarebbe opportuno cambiare anche il nome per segnare una discontinuità e poi bisogna avere il coraggio di mettere in campo le forze migliori e non quelle che controllano più tessere. Un largo rinnovamento…

(Non si farà mai, quindi sarò costretto ad espatriare.
La mia ambizione era quella di non morire democristiano. Da oppositore della Lega forse posso ambire al paradiso.)

Renzi con un’intervista al CorSera spariglia le carte.
Il “mai con il movimento” diventa, in sintesi, sposiamoci per un anno.
Zingaretti, segretario, generale senza truppe in parlamento, vuole andare al voto per avere delle milizie proprie non “toscane”.
In mezzo Salvini, che vuole passare alla cassa, furbescamente, senza essere lui a fare la finanziaria.
I 5Stelle sono quelli cornuti e mazziati. Ed anche un po’ ingenui e pasticcioni.
Tutto questo il calcolo politico.
Dall’altra parte una nazione che avrebbe la grande necessità di essere governata da persone serie, capaci di farci uscire da una grave impasse economica, artefici di un progetto in Europa, nel quale profondamente credo.
Stiamo uscendo da una fase in cui chi governava lo faceva in modo propagandistico ed approssimativo, con la complicità di una opposizione che non ha capito -nonostante le sonore scoppole- che inseguire sullo stesso terreno i propri avversari, senza proporre un progetto, un’idea di paese, connaturato ad una secolare storia e di un elettorato, di una base, che si sono sfaldati ed hanno sfondato un recinto è un’idea perdente in partenza.
Cosa fare?
È difficilissimo per chi lo fa di mestiere, figurarsi per me, capire quale possa essere una exit strategy.
Di certo la credibilità di un paese così viene minata. Bisogna affidarsi, forse, a degli artificieri.

Sono contrario alla diminuizione del numero dei parlamentari.
L’eletto dal popolo dovrebbe essere il rappresentante di una zona, di un territorio, ne dovrebbe fare sue le istanze.
Sono in vacanza nel Sannio. Realtà con paesi di 200, 500, 1000, 3000 al massimo abitanti. Come si può pensare che un “rappresentante” prenda a cuore le necessità di piccoli comuni quando questi sono un’inezia rispetto al serbatoio di cui necessità?
Forse chi ci ha preceduto conosceva meglio di noi la geografia e la conformazione strutturale del nostro territorio.
Paesi dimenticati lo saranno ancora di più. Questa sarebbe una riforma che penalizza ancora di più i paesi già più disagiati.
Strumentalmente e solo a fini elettorali, tutti sono d’accordo a varare una riforma che è figlia di un momento contingente, di una voglia di “anti casta”.
Non trova motivazioni, se non quella di un risparmio economico (nobilissimo vista la situazione in cui versano le nostre casse), a discapito di quelli la cui voce dovrebbe avere maggiore eco.
Il Sud ha territori che stanno morendo. I giovani debbono lasciare la propria terra per cercare lavoro all’estero. Pochi resistenti restano. Vedendo i loro studi e le loro professionalità mortificate da lavori sottopagati.

Se fossi della Valsusa mi sentirei tradito.
Se fossi elettore 5S mi sentirei tradito.
Se fossi attivista di quel movimento mi sentirei tradito.
Se ricoprissi una carica elettiva nelle liste 5S mi sentirei tradito.

Ed ancora.

Non è chiaro a quelli del Movimento che il nemico non è il PD, un partito che non ha ancora capito cosa fare dopo la tranvata al referendum e dopo essere stato annichilito alle elezioni politiche. E bisogna vedere se mai lo capirà.
C’è un’ossessione contro i pidioti (così si entra subito nel tema) che è anacronistica, pensando al servizietto che la Lega sta perpetuando.
Una cannibalizzazione.

Mi auguro che questo matrimonio regga perché Di Maio e compagnucci vari pensano che -a prescindere da tutto- è meglio governare e fare qualcosa di buono (dal loro punto di vista) con la Lega, che non fare.
Se mai un giorno verrà svelato che il perdurare di questo governo stava solo nella voglia di non andare a casa, scatterebbe il tradimento dei tradimenti.

Questo lo scrivo per quei grillini, molti anche amici, che ci hanno creduto e che ci credono. Che combattono e si spendono anche su questo social.
Che investono tempo e denaro e che secondo me avrebbero meritato qualcosa di meglio di una compagine a mio giudizio un po’ scalcagnata (da Di Maio a Toninelli, alla Castelli…)

Dibba non “buca” più.
Ieri sera dalla Gruber, ci ha provato con il collaudato tono teatrale, con la voce impostata rassicurante, con un’alzata di scudi (falsa)…
La questione di fondo è che anche lui non sembra più credere a quello che dice e -quando è incalzato- il tono non è più quello sicuro di quando era un Gianburrasca all’opposizione.
Giggino, sotto questo punto di vista, è di un’altra pasta.
(a margine: per Dibba non esistono parlamentarie, decide lui se si candida o meno?)

Ultimo appunto. Dibba ha detto: “Il primo anno al governo sapevo che sarebbe stato difficile.”
Quindi lui è partito.