Ci stiamo deindustrializzando.
Vivendo nella provincia di Torino la radiografia è di più facile lettura, non sfugge il percepito progressivo disinteresse dell’azienda produttrice di automobili che ha dirottato le produzioni in altre nazioni più convenienti dal punto di vista del costo del lavoro.
Negli anni ’70, a Mirafiori, la Fiat contava quasi 70mila dipendenti, oggi lo stabilimento ne conta meno di 10mila (dati reperiti on-line). Il calo della produzione riverbera, ovviamente, anche sull’indotto, stremato dalla mancanza di ordini e dalle politiche al ribasso degli uffici acquisti. (In chiusura di questo preambolo esprimo i miei dubbi circa il modello “elettrico”, non sono convinto che sia la soluzione definitiva ed, anzi, penso che la via intrapresa convintamente da Toyota sull’idrogeno possa rappresentare un’opzione molto interessante).
Per ridare nerbo all’occupazione nel nostro paese punterei con decisione sulla piccola e media impresa, agile e flessibile, che ritengo possa essere un comparto che, ben disciplinato, potrebbe anche aumentare il valore aggiunto per i lavoratori. Bisogna stabilire convintamente le regole, passando da una sensata legge sul salario minimo, ad un’attenzione aumentata su orari e carichi di lavoro da rendere compatibili con le esigenze dei lavoratori. Una PMI dove anche lo stato investe con la diminuzione del cuneo fiscale e dove gli imprenditori cercano il giusto equilibrio tra profitto e benessere dei lavoratori, sarebbe un modello produttivo ed anche culturale che potrebbe risollevare le sorti di un paese che necessita di una svolta.
Mi piace pensare ad un generazione di piccoli imprenditori forgiati sul modello di Adriano Olivetti, il quale “aveva compreso come il mondo del lavoro andasse inquadrato senz’altro in un ruolo forte, ma in un contesto più organico. Aveva, ad esempio, capito fino a che punto la vivibilità del contesto lavorativo dovesse giocare una parte fondamentale di quanto oggi la comunità scientifica identifica nel più ampio concetto di qualità della vita”
Un’immagine tratta dal libro “Il canto della fabbrica”, Mondadori (Bettmann / Getty Images)
Provo dolore, incazzatura e rammarico.
Un morto su tre per incidenti sul lavoro (tantissimi) ha più di 60 anni.
La classe politica si straccia le vesti ma non si sofferma sul fatto che una donna od un uomo a 67 anni (al momento l’età per andare in pensione) non possono avere la forza, i riflessi, la lucidità per affrontare certe attività lavorative. Ed allora basta con questa ipocrisia di facciata. Moriremo lavorando, certi del fatto che qualche personaggio politico avrà un nuovo morto per dolersi.
(Sulla questione subappalti, anche qui ipocrisia al cubo, situazione per la quale tutti fanno finta di non sapere, scriverò fra qualche giorno, perché oggi sono già troppo frullato)
✍️💙La “Resistenza” non è solo un valore è un concetto di grandissima attualità se la si vuole sapere leggere.
Resistenza è avere la dignità di confrontarsi con il proprio quotidiano e prendere decisioni scomode.
Resistenza è restare nei territori più dimenticati, nelle aree interne del nostro paese e provare a creare delle alternative.
Resistenza è combattere un sistema che sta minando i diritti fondamentali, come quelli alla salute ed al lavoro.
Resistenza è un modo di sentire, che fa capire la necessità di stare da una certa parte: quella degli onesti (e mi riferisco anche all’onestà intellettuale), quella dei sensibili anche ai problemi di chi sta vicino a noi, quella di coloro che ad un certo punto non piegano più il capo.
Alberto Scarino
Mi chiamo Alberto Scarino e questo è il mio sito personale.
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