Lo schiaccianoci di Tchaikovsky. Nella favolosa cornice del San Carlo di Napoli.
Emozioni.
CAMPIONATO DI PROMOZIONE GIR. D
15° ed ultimo turno di andata
Canelli-Sangiacomo Chieri 1-1
CANELLI: Contardo; Gallizio, El Harti; Moresco, Pietrosanti, Macrì; Gallo, Mondo, Zanutto, Barotta (30’ s.t. Vverich), Saviano (13’ s.t. Ishacc). 12 Amati 13 Simeoni 15 Fal 16 Palmisana 17 Morenco. All. Simone Merlo.
SANGIACOMO CHIERI: Nebiolo; Stevenin, Rimedio; Calzolai, Mezzela, Parrino; Velardita (Angeloni), Balan, Gualtieri, Gobetti, Dosio. 12 Zago 13 Cosola 14 Bosco 15 Federici 17 Scali 18 Messina. All. Marco Bonello
TERNA: Barberis di Torino (Sgambati di Chivasso, Ceccotto di Bra)
RETI: 8’ Gallo, 23’ Macrì (autogol)
ACQUI TERME – Cinque pareggi nelle ultime 5 gare, imbattuti da 7 turni, 9 punti in casa e 5 in trasferta, 16 gol fatti 21 subiti, undicesimo posto in graduatoria con 14 punti incamerati. Questo il tabellino di marcia del Sangiacomo Chieri che, in un freddissimo pomeriggio invernale, contro il Canelli, sul campo sintetico di Acqui Terme (stante l’indisponibilità del terreno di gioco degli spumantieri) impattava (1 a 1) in una tenzone che era metafora ed epilogo di un girone di andata che potrebbe essere oggetto di studio.
Ipotesi: la media punti degli uomini di Bonello, tralasciate per ora le prime sei gare, è di 1.55 punti a partita. Se per pura ipotesi, Gobetti e compagni non avessero avuto la partenza shock che tutti conosciamo, avrebbero potuto “girare” comodamente a 23 punti, ad un passo dalla zona play-off.
E’ pur vero che cinque delle sei sconfitte di inizio campionato sono maturate contro le squadre che occupano dal secondo al quinto posto della attuale graduatoria. Un inizio in cui i “leoni” hanno pagato un assetto che si doveva assestare, alcune assenze che hanno limitato l’organico, soprattutto in fase offensiva, un dazio alla malasorte che -come gli statistici bravi insegnano- spesso si equilibra nel corso di un intero campionato.
Tesi: tutto quanto ciò detto serve a sostenere quanto, chi scrive, ha in mente dalla prima volta in cui ha visto il Sangiacomo in azione: questa rosa vale di più dell’attuale posizione di classifica. E la striscia positiva deve instillare, soprattutto a livello mentale, la coscienza dei propri mezzi.
L’inizio del ritorno sarà la cartina di tornasole delle ambizioni chieresi. Sgomberare le menti dalle proiezioni negative che hanno condizionato il girone di andata. Che detto in altro modo si può tradurre asserendo che molte vittorie non si sono incasellate per la paura di perdere.
Spregiudicatezza e cattiveria sotto porta dovrebbero essere gli incipit del nuovo anno solare. E soprattutto la seconda è mancata nella gara contro il Canelli. Una bel match.
Pronti via ed i leoni chieresi mettevano già sotto torchio la difesa locale con due favorevoli occasioni ad appannaggio di Velardita e Calzolai. Chieresi molto in palla. Ed all’ottavo, per una delle leggi non scritte ma precise quanto la manifattura orologiaia elvetica, Mondo con un pallone telecomandato tagliava centralmente la difesa ospite, pescando con il contagiri Gallo che stoppava e con una pennellata d’autore uccellava l’incolpevole Nebiolo.
Velardita, arso dal sacro fuoco, al 13’ si produceva in una percussione, la cui conclusione finale non godeva della auspicata fortuna. Toccava a Gualtieri, 5’ dopo, in mezza rovesciata, con medesimo triste epilogo.
Ed al 23’, Eupalla la dea che sovraintende alle fortune calcistiche, di breriana memoria, si ricordava dei chieresi: sugli sviluppi di un cross di Gualtieri da destra Macrì, come un qualsiasi Comunardo Niccolai (ex libero del Cagliari con una grande propensione all’autolesionismo) gelava -più di quanto non facesse il meteo- Contardo.
Con pochi altri sussulti si arrivava alla pausa.
Nell’intervallo Bonello suggeriva le contromisure per arginare la superiorità numerica spumantiera in zona nevralgica, che -nella prima frazione- aveva messo in crisi, in talune situazioni, il dispositivo difensivo.
Ripresa: Gualtieri saliva con l’ascensore e deviava di testa (5’). A cavallo dell’ottavo ancora Gualtieri, in due occasioni, non riusciva a percorrere la via della rete.
Al 20’ iniziava la personale sfida di Dosio a Contardo. Che proseguiva in almeno altre tre occasioni. Con difetto di misura minimale, comunque sufficiente a consentire all’estremo di casa di mantenere inviolata la porta.
“Natale non sarà Natale senza regali”, diceva una scrittrice a stelle e strisce. Da Canelli e da molti altri campi ringraziano.
Con l’uscita di scena di Allasia Federico “Dallas” e di Stefanino Drazza si chiude forse, parzialmente, un ciclo.
In questi anni il calcio a Trofarello non è mai stato facile. Loro, con gli altri “senatori”, sono stati il cemento vero del gruppo.
Dallas è stato equilibrio e determinazione.
Steve estrosità e “sterzate”.
Entrambi hanno sposato la causa trofarellese quando sembrava che tutto potesse o dovesse finire.
Restano nella memoria di molti le cene domenicali, post match, presso l’abitazione di Dallas, ancora sento nella testa i cori di un Drazza ebbro di gioia e dei fumi dell’alcol.
Non hanno solo indossato una maglia. L’hanno tessuta, l’hanno cucita e poi l’hanno messa sulle spalle, quelle spalle che -in molte partite- si sono caricate il peso di una intera formazione.
Lasciano un grosso vuoto. Come giocatori ma soprattutto come persone.
Chi ha vissuto questi anni può capire. Emozionanti dalle vittorie alle sconfitte. Però momenti sempre unici, particolari, cristallizzati nelle nostre sinapsi.
Non c’è nulla di epico. E’ qualcosa che ha unito un gruppo di persone, una piccola comunità, proiettando un sentire comune.
Tutto finisce.
(ed in questo momento, anche chi scrive ha un poco di malcelata melanconia ed una lacrimuccia che riga il volto, forse per un moscerino)
#passioneBiancorossa
Dopo aver letto la molteplicità dei commenti al post pubblicato su facebook, nel quale si commentava la partenza di due giocatori del Trofarello, Allasia e Drazza, e dopo aver ricevuto questo messaggio whatsapp ho pensato che sia giusto scrivere qualcosa del calcio che ho vissuto negli ultimi anni.
“Chi sa cosa vuol dire dedicare del tempo al calcio sa cosa è veramente il calcio… Dopo aver letto il tuo post sto sentendo adesso l’odore del fango dell’erba, la puzza di spogliatoio, il rumore dei tacchetti…”
Si è vero. Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo al calcio dilettantistico.
In principio addosso la “responsabilità” a Fioriello. Silvio è stato uno di quei giocatori che di più mi hanno solleticato la fantasia ed alimentato la libido verso un gioco che non si può definire intelligente. Un mio amico, scomparso di recente, grande appassionato, soleva dire che “se il calcio fosse un gioco intelligente non si giocherebbe con i piedi”. Però quello che, da quando ho ricordi, ho visto fare ad alcuni giocatori, con i piedi, non attiene all’ordinario, è magia, è spettacolo, è la capacità di creare suggestioni, è la capacità di alimentare emozioni. E’ il calcio.
Ritornando a Silvio, lui era un poco di tutto questo. Il suo ritorno sulla panchina biancorossa, mi fece riavvicinare ad un modo non frequentato per almeno un settennio, a causa di saturazione dalla vista di rettangoli di gioco, scarpette bullonate e quanto di altro.
Da lì in poi è stato un crescendo. Una passione che ricomincia ad attanagliarti. Una voglia che arrivi la domenica. Una miscela di sensazioni, tra vittorie e sconfitte, che ti proiettava sempre verso la prossima.
E poi arriva Mogliotti. Sempre a Trofarello. E l’impegno cresce. Una squadra retrocessa. Ma poi ripescata. Un gruppo che si costruisce per una categoria (la seconda) modificato in corsa per affrontare un’altra categoria (la prima).
Mille problemi, altrettante soddisfazioni. Ed ancora problemi e dolori: la scomparsa di Della Rocca. Ma una squadra, nel vero senso della parola, a tutto tondo, una piccola comunità che voleva vincere e divertirsi. E vincere. Le sconfitte pesanti con il Moncalieri. Le vittorie devastanti con la Nuova Sco e soprattutto con il Bacigalupo. A fine gara un loro dirigente, dopo un pirotecnico 0 a 8, ci disse: “voi non siete di un livello superiore, siete di due livelli oltre”. Una cavalcata che stava per finire in modo drammatico, senza la vittoria in campionato ed il raggiungimento dei play off, ripresa per i capelli.
E poi quei fantastici playoff. Cambiano, Moncalieri, Castelnuovo (“Nbele si as vinc nen” disse il loro guardalinee) e l’ubriacatura di gioia contro il Victoria Ivest, sul loro campo, con una gara che Mou-gliotti preparò di notte, studiando su youtube i filmati della squadra avversaria, che tradusse in allenamento su un sintetico a Riva di Chieri e che si videro pari pari durante una finale senza storia, dove tutti pensavano che il Trofarello partisse sconfitto. Embè.
E poi quell’estate. Un fuggi-fuggi generale di giocatori. Un gruppo “storico” che decise che il calcio a Trofarello doveva continuare. Capitan Arlorio per tutti: “Non possiamo pensare che l’occasione di giocare con la maglia del proprio paese i bambini di oggi non possano averla”. E con lui Federico Allasia, Andrea Romano, Rudy Tosatto, Stefanino Drazza, Tony Aiello.
E pronti via, ripartenza in Promozione. Un avvio da far strabuzzare gli occhi. Una pesante flessione, sino alla vittoria sul campo del Grugliasco. Dove si concretizzò la sintesi del calcio del Mou. Pressing, giro palla, attacco degli spazi, gioco corto, più linee di passaggio, massimo due tocchi, azione costruita sempre dalle retrovie. Ed ancora alchimie tattiche per anestetizzare gli avversari. Massima valorizzazione delle risorse umane a disposizione.
Il ritorno di quella stagione non è stato la stessa cosa. Più problemi. Più difficoltà. Qualche errore anche della panchina, perché no.
Ma alla fine quando il gioco si fece duro, leggasi spareggio per non retrocedere, i duri ricominciarono a giocare. E fu salvezza.
La riconferma della categoria da parte di un “gruppo storico” che aveva un’anima forte. Che forse non si è reso conto, non ha realizzato, quanto ha costruito, quanto ha realizzato.
In questi due anni questa è stata una squadra mai banale. Oltre le righe in alcune situazioni. Capace di divertire come poche hanno saputo fare in queste categorie.
Il cambio di casacca di Allasia e Drazza è una cartina di tornasole del tempo che passa. Di un qualcosa che finisce (e chiaramente ricomincia). Ma io che sono, in fondo in fondo, romantico mi affeziono. Magari mi affezionerò di nuovo. Però quanto mi sono divertito in queste due stagioni non lo dimenticherò.
Un film che avrei voluto girare. Una pellicola che conserverò solo nella mente.
In punta di penna (di calcio soprattutto)
Dopo aver letto la molteplicità dei commenti al post pubblicato su facebook, nel quale si commentava la partenza di due giocatori del Trofarello, Allasia e Drazza, e dopo aver ricevuto questo messaggio whatsapp ho pensato che sia giusto scrivere qualcosa del calcio che ho vissuto negli ultimi anni.
“Chi sa cosa vuol dire dedicare del tempo al calcio sa cosa è veramente il calcio… Dopo aver letto il tuo post sto sentendo adesso l’odore del fango dell’erba, la puzza di spogliatoio, il rumore dei tacchetti…”
Si è vero. Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo al calcio dilettantistico.
In principio addosso la “responsabilità” a Fioriello. Silvio è stato uno di quei giocatori che di più mi hanno solleticato la fantasia ed alimentato la libido verso un gioco che non si può definire intelligente. Un mio amico, scomparso di recente, grande appassionato, soleva dire che “se il calcio fosse un gioco intelligente non si giocherebbe con i piedi”. Però quello che, da quando ho ricordi, ho visto fare ad alcuni giocatori, con i piedi, non attiene all’ordinario, è magia, è spettacolo, è la capacità di creare suggestioni, è la capacità di alimentare emozioni. E’ il calcio.
Ritornando a Silvio, lui era un poco di tutto questo. Il suo ritorno sulla panchina biancorossa, mi fece riavvicinare ad un modo non frequentato per almeno un settennio, a causa di saturazione dalla vista di rettangoli di gioco, scarpette bullonate e quanto di altro.
Da lì in poi è stato un crescendo. Una passione che ricomincia ad attanagliarti. Una voglia che arrivi la domenica. Una miscela di sensazioni, tra vittorie e sconfitte, che ti proiettava sempre verso la prossima.
E poi arriva Mogliotti. Sempre a Trofarello. E l’impegno cresce. Una squadra retrocessa. Ma poi ripescata. Un gruppo che si costruisce per una categoria (la seconda) modificato in corsa per affrontare un’altra categoria (la prima).
Mille problemi, altrettante soddisfazioni. Ed ancora problemi e dolori: la scomparsa di Della Rocca. Ma una squadra, nel vero senso della parola, a tutto tondo, una piccola comunità che voleva vincere e divertirsi. E vincere. Le sconfitte pesanti con il Moncalieri. Le vittorie devastanti con la Nuova Sco e soprattutto con il Bacigalupo. A fine gara un loro dirigente, dopo un pirotecnico 0 a 8, ci disse: “voi non siete di un livello superiore, siete di due livelli oltre”. Una cavalcata che stava per finire in modo drammatico, senza la vittoria in campionato ed il raggiungimento dei play off, ripresa per i capelli.
E poi quei fantastici playoff. Cambiano, Moncalieri, Castelnuovo (“Nbele si as vinc nen” disse il loro guardalinee) e l’ubriacatura di gioia contro il Victoria Ivest, sul loro campo, con una gara che Mou-gliotti preparò di notte, studiando su youtube i filmati della squadra avversaria, che tradusse in allenamento su un sintetico a Riva di Chieri e che si videro pari pari durante una finale senza storia, dove tutti pensavano che il Trofarello partisse sconfitto. Embè.
E poi quell’estate. Un fuggi-fuggi generale di giocatori. Un gruppo “storico” che decise che il calcio a Trofarello doveva continuare. Capitan Arlorio per tutti: “Non possiamo pensare che l’occasione di giocare con la maglia del proprio paese i bambini di oggi non possano averla”. E con lui Federico Allasia, Andrea Romano, Rudy Tosatto, Stefanino Drazza, Tony Aiello.
E pronti via, ripartenza in Promozione. Un avvio da far strabuzzare gli occhi. Una pesante flessione, sino alla vittoria sul campo del Grugliasco. Dove si concretizzò la sintesi del calcio del Mou. Pressing, giro palla, attacco degli spazi, gioco corto, più linee di passaggio, massimo due tocchi, azione costruita sempre dalle retrovie. Ed ancora alchimie tattiche per anestetizzare gli avversari. Massima valorizzazione delle risorse umane a disposizione.
Il ritorno di quella stagione non è stato la stessa cosa. Più problemi. Più difficoltà. Qualche errore anche della panchina, perché no.
Ma alla fine quando il gioco si fece duro, leggasi spareggio per non retrocedere, i duri ricominciarono a giocare. E fu salvezza.
La riconferma della categoria da parte di un “gruppo storico” che aveva un’anima forte. Che forse non si è reso conto, non ha realizzato, quanto ha costruito, quanto ha realizzato.
In questi due anni questa è stata una squadra mai banale. Oltre le righe in alcune situazioni. Capace di divertire come poche hanno saputo fare in queste categorie.
Il cambio di casacca di Allasia e Drazza è una cartina di tornasole del tempo che passa. Di un qualcosa che finisce (e chiaramente ricomincia). Ma io che sono, in fondo in fondo, romantico mi affeziono. Magari mi affezionerò di nuovo. Però quanto mi sono divertito in queste due stagioni non lo dimenticherò.
Un film che avrei voluto girare. Una pellicola che conserverò solo nella mente.
Con l’uscita di scena di Allasia Federico “Dallas” e di Stefanino Drazza si chiude forse, parzialmente, un ciclo.
In questi anni il calcio a Trofarello non è mai stato facile. Loro, con gli altri “senatori”, sono stati il cemento vero del gruppo.
Dallas è stato equilibrio e determinazione.
Steve estrosità e “sterzate”.
Entrambi hanno sposato la causa trofarellese quando sembrava che tutto potesse o dovesse finire.
Restano nella memoria di molti le cene domenicali, post match, presso l’abitazione di Dallas, ancora sento nella testa i cori di un Drazza ebbro di gioia e dei fumi dell’alcol.
Non hanno solo indossato una maglia. L’hanno tessuta, l’hanno cucita e poi l’hanno messa sulle spalle, quelle spalle che -in molte partite- si sono caricate il peso di una intera formazione.
Lasciano un grosso vuoto. Come giocatori ma soprattutto come persone.
Chi ha vissuto questi anni può capire. Emozionanti dalle vittorie alle sconfitte. Però momenti sempre unici, particolari, cristallizzati nelle nostre sinapsi.
Non c’è nulla di epico. E’ qualcosa che ha unito un gruppo di persone, una piccola comunità, proiettando un sentire comune.
Tutto finisce.
(ed in questo momento, anche chi scrive ha un poco di malcelata melanconia ed una lacrimuccia che riga il volto, forse per un moscerino)
#passioneBiancorossa
Alberto Scarino
Mi chiamo Alberto Scarino e questo è il mio sito personale.