In punta di penna (di calcio soprattutto)

Dopo aver letto la molteplicità dei commenti al post pubblicato su facebook, nel quale si commentava la partenza di due giocatori del Trofarello, Allasia e Drazza, e dopo aver ricevuto questo messaggio whatsapp ho pensato che sia giusto scrivere qualcosa del calcio che ho vissuto negli ultimi anni.

“Chi sa cosa vuol dire dedicare del tempo al calcio sa cosa è veramente il calcio… Dopo aver letto il tuo post sto sentendo adesso l’odore del fango dell’erba, la puzza di spogliatoio, il rumore dei tacchetti…”
Si è vero. Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo al calcio dilettantistico.
In principio addosso la “responsabilità” a Fioriello. Silvio è stato uno di quei giocatori che di più mi hanno solleticato la fantasia ed alimentato la libido verso un gioco che non si può definire intelligente. Un mio amico, scomparso di recente, grande appassionato, soleva dire che “se il calcio fosse un gioco intelligente non si giocherebbe con i piedi”. Però quello che, da quando ho ricordi, ho visto fare ad alcuni giocatori, con i piedi, non attiene all’ordinario, è magia, è spettacolo, è la capacità di creare suggestioni, è la capacità di alimentare emozioni. E’ il calcio.
Ritornando a Silvio, lui era un poco di tutto questo. Il suo ritorno sulla panchina biancorossa, mi fece riavvicinare ad un modo non frequentato per almeno un settennio, a causa di saturazione dalla vista di rettangoli di gioco, scarpette bullonate e quanto di altro.
Da lì in poi è stato un crescendo. Una passione che ricomincia ad attanagliarti. Una voglia che arrivi la domenica. Una miscela di sensazioni, tra vittorie e sconfitte, che ti proiettava sempre verso la prossima.
E poi arriva Mogliotti. Sempre a Trofarello. E l’impegno cresce. Una squadra retrocessa. Ma poi ripescata. Un gruppo che si costruisce per una categoria (la seconda) modificato in corsa per affrontare un’altra categoria (la prima).
Mille problemi, altrettante soddisfazioni. Ed ancora problemi e dolori: la scomparsa di Della Rocca. Ma una squadra, nel vero senso della parola, a tutto tondo, una piccola comunità che voleva vincere e divertirsi. E vincere. Le sconfitte pesanti con il Moncalieri. Le vittorie devastanti con la Nuova Sco e soprattutto con il Bacigalupo. A fine gara un loro dirigente, dopo un pirotecnico 0 a 8, ci disse: “voi non siete di un livello superiore, siete di due livelli oltre”. Una cavalcata che stava per finire in modo drammatico, senza la vittoria in campionato ed il raggiungimento dei play off, ripresa per i capelli.
E poi quei fantastici playoff. Cambiano, Moncalieri, Castelnuovo (“Nbele si as vinc nen” disse il loro guardalinee) e l’ubriacatura di gioia contro il Victoria Ivest, sul loro campo, con una gara che Mou-gliotti preparò di notte, studiando su youtube i filmati della squadra avversaria, che tradusse in allenamento su un sintetico a Riva di Chieri e che si videro pari pari durante una finale senza storia, dove tutti pensavano che il Trofarello partisse sconfitto. Embè.
E poi quell’estate. Un fuggi-fuggi generale di giocatori. Un gruppo “storico” che decise che il calcio a Trofarello doveva continuare. Capitan Arlorio per tutti: “Non possiamo pensare che l’occasione di giocare con la maglia del proprio paese i bambini di oggi non possano averla”. E con lui Federico Allasia, Andrea Romano, Rudy Tosatto, Stefanino Drazza, Tony Aiello.
E pronti via, ripartenza in Promozione. Un avvio da far strabuzzare gli occhi. Una pesante flessione, sino alla vittoria sul campo del Grugliasco. Dove si concretizzò la sintesi del calcio del Mou. Pressing, giro palla, attacco degli spazi, gioco corto, più linee di passaggio, massimo due tocchi, azione costruita sempre dalle retrovie. Ed ancora alchimie tattiche per anestetizzare gli avversari. Massima valorizzazione delle risorse umane a disposizione.
Il ritorno di quella stagione non è stato la stessa cosa. Più problemi. Più difficoltà. Qualche errore anche della panchina, perché no.
Ma alla fine quando il gioco si fece duro, leggasi spareggio per non retrocedere, i duri ricominciarono a giocare. E fu salvezza.
La riconferma della categoria da parte di un “gruppo storico” che aveva un’anima forte. Che forse non si è reso conto, non ha realizzato, quanto ha costruito, quanto ha realizzato.
In questi due anni questa è stata una squadra mai banale. Oltre le righe in alcune situazioni. Capace di divertire come poche hanno saputo fare in queste categorie.
Il cambio di casacca di Allasia e Drazza è una cartina di tornasole del tempo che passa. Di un qualcosa che finisce (e chiaramente ricomincia). Ma io che sono, in fondo in fondo, romantico mi affeziono. Magari mi affezionerò di nuovo. Però quanto mi sono divertito in queste due stagioni non lo dimenticherò.
Un film che avrei voluto girare. Una pellicola che conserverò solo nella mente.

In punta di penna (di calcio soprattutto)

Dopo aver letto la molteplicità dei commenti al post pubblicato su facebook, nel quale si commentava la partenza di due giocatori del Trofarello, Allasia e Drazza, e dopo aver ricevuto questo messaggio whatsapp ho pensato che sia giusto scrivere qualcosa del calcio che ho vissuto negli ultimi anni.
“Chi sa cosa vuol dire dedicare del tempo al calcio sa cosa è veramente il calcio… Dopo aver letto il tuo post sto sentendo adesso l’odore del fango dell’erba, la puzza di spogliatoio, il rumore dei tacchetti…”
Si è vero. Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo al calcio dilettantistico.
In principio addosso la “responsabilità” a Fioriello. Silvio è stato uno di quei giocatori che di più mi hanno solleticato la fantasia ed alimentato la libido verso un gioco che non si può definire intelligente. Un mio amico, scomparso di recente, grande appassionato, soleva dire che “se il calcio fosse un gioco intelligente non si giocherebbe con i piedi”. Però quello che, da quando ho ricordi, ho visto fare ad alcuni giocatori, con i piedi, non attiene all’ordinario, è magia, è spettacolo, è la capacità di creare suggestioni, è la capacità di alimentare emozioni. E’ il calcio.
Ritornando a Silvio, lui era un poco di tutto questo. Il suo ritorno sulla panchina biancorossa, mi fece riavvicinare ad un modo non frequentato per almeno un settennio, a causa di saturazione dalla vista di rettangoli di gioco, scarpette bullonate e quanto di altro.
Da lì in poi è stato un crescendo. Una passione che ricomincia ad attanagliarti. Una voglia che arrivi la domenica. Una miscela di sensazioni, tra vittorie e sconfitte, che ti proiettava sempre verso la prossima.
E poi arriva Mogliotti. Sempre a Trofarello. E l’impegno cresce. Una squadra retrocessa. Ma poi ripescata. Un gruppo che si costruisce per una categoria (la seconda) modificato in corsa per affrontare un’altra categoria (la prima).
Mille problemi, altrettante soddisfazioni. Ed ancora problemi e dolori: la scomparsa di Della Rocca. Ma una squadra, nel vero senso della parola, a tutto tondo, una piccola comunità che voleva vincere e divertirsi. E vincere. Le sconfitte pesanti con il Moncalieri. Le vittorie devastanti con la Nuova Sco e soprattutto con il Bacigalupo. A fine gara un loro dirigente, dopo un pirotecnico 0 a 8, ci disse: “voi non siete di un livello superiore, siete di due livelli oltre”. Una cavalcata che stava per finire in modo drammatico, senza la vittoria in campionato ed il raggiungimento dei play off, ripresa per i capelli.
E poi quei fantastici playoff. Cambiano, Moncalieri, Castelnuovo (“Nbele si as vinc nen” disse il loro guardalinee) e l’ubriacatura di gioia contro il Victoria Ivest, sul loro campo, con una gara che Mou-gliotti preparò di notte, studiando su youtube i filmati della squadra avversaria, che tradusse in allenamento su un sintetico a Riva di Chieri e che si videro pari pari durante una finale senza storia, dove tutti pensavano che il Trofarello partisse sconfitto. Embè.
E poi quell’estate. Un fuggi-fuggi generale di giocatori. Un gruppo “storico” che decise che il calcio a Trofarello doveva continuare. Capitan Arlorio per tutti: “Non possiamo pensare che l’occasione di giocare con la maglia del proprio paese i bambini di oggi non possano averla”. E con lui Federico Allasia, Andrea Romano, Rudy Tosatto, Stefanino Drazza, Tony Aiello.
E pronti via, ripartenza in Promozione. Un avvio da far strabuzzare gli occhi. Una pesante flessione, sino alla vittoria sul campo del Grugliasco. Dove si concretizzò la sintesi del calcio del Mou. Pressing, giro palla, attacco degli spazi, gioco corto, più linee di passaggio, massimo due tocchi, azione costruita sempre dalle retrovie. Ed ancora alchimie tattiche per anestetizzare gli avversari. Massima valorizzazione delle risorse umane a disposizione.
Il ritorno di quella stagione non è stato la stessa cosa. Più problemi. Più difficoltà. Qualche errore anche della panchina, perché no.
Ma alla fine quando il gioco si fece duro, leggasi spareggio per non retrocedere, i duri ricominciarono a giocare. E fu salvezza.
La riconferma della categoria da parte di un “gruppo storico” che aveva un’anima forte. Che forse non si è reso conto, non ha realizzato, quanto ha costruito, quanto ha realizzato.
In questi due anni questa è stata una squadra mai banale. Oltre le righe in alcune situazioni. Capace di divertire come poche hanno saputo fare in queste categorie.
Il cambio di casacca di Allasia e Drazza è una cartina di tornasole del tempo che passa. Di un qualcosa che finisce (e chiaramente ricomincia). Ma io che sono, in fondo in fondo, romantico mi affeziono. Magari mi affezionerò di nuovo. Però quanto mi sono divertito in queste due stagioni non lo dimenticherò.
Un film che avrei voluto girare. Una pellicola che conserverò solo nella mente.

Di calcio e di addii

Con l’uscita di scena di Allasia Federico “Dallas” e di Stefanino Drazza si chiude forse, parzialmente, un ciclo.
In questi anni il calcio a Trofarello non è mai stato facile. Loro, con gli altri “senatori”, sono stati il cemento vero del gruppo.
Dallas è stato equilibrio e determinazione.
Steve estrosità e “sterzate”.
Entrambi hanno sposato la causa trofarellese quando sembrava che tutto potesse o dovesse finire.
Restano nella memoria di molti le cene domenicali, post match, presso l’abitazione di Dallas, ancora sento nella testa i cori di un Drazza ebbro di gioia e dei fumi dell’alcol.
Non hanno solo indossato una maglia. L’hanno tessuta, l’hanno cucita e poi l’hanno messa sulle spalle, quelle spalle che -in molte partite- si sono caricate il peso di una intera formazione.
Lasciano un grosso vuoto. Come giocatori ma soprattutto come persone.
Chi ha vissuto questi anni può capire. Emozionanti dalle vittorie alle sconfitte. Però momenti sempre unici, particolari, cristallizzati nelle nostre sinapsi.
Non c’è nulla di epico. E’ qualcosa che ha unito un gruppo di persone, una piccola comunità, proiettando un sentire comune.
Tutto finisce.
(ed in questo momento, anche chi scrive ha un poco di malcelata melanconia ed una lacrimuccia che riga il volto, forse per un moscerino)
#passioneBiancorossa